Giovani, innamorati dell’arte, ma soprattutto grandi professionisti dalle idee molto chiare. Lei è Bianca Maria Menichini, allieva di Renato Barilli al DAMS di Bologna; lui Christian Akrivos, uno dei virtuosi del parquet italiano, ex guardia anche della Virtus Bologna, che i pochi soldi che riusciva a risparmiare li spendeva, fin da giovanissimo, in arte. Insieme rappresentano una delle migliori espressioni di quella nuova generazione di galleristi che sta prendendo sempre più piede in Italia. Li abbiamo incontrati a Milano, nella sede della 10 A.M. Art, la home gallery che hanno fondato all’interno di una ex fabbrica di cioccolato. Una location piena di fascino, ad un passo dalla Chiesa Rossa, e nello stesso stabile dove si trovano gli artisti Katja Noppes e Massimo Kaufmann, l’ Associazione Renzo Bergamo, oltre ad architetti, fotografi e giovani stilisti.
Il loro debutto nel nuovo spazio di via Barrili è con la mostra Le Nuove Tendenze. Rivelazioni di un’arte percettiva e sensoriale, costruttiva e interattiva, in cui esposero le opere più rappresentative degli esponenti italiani dell’Arte costruttiva, ottico-cinetica e programmata che, negli anni ’60, parteciparono al progetto culturale delle Nove Tendencije di Zagabria. Un progetto ambizioso, ma che ha contribuito a rimarcare il tratto dominante del loro essere galleristi: l’importanza della rivalutazione storico-artistica, prima di quella economica.
«Siamo partiti da zero – mi raccontano quasi in coro – ma la passione era tanta. Ci siamo conosciuti nel 2006 e dal 2009 abbiamo iniziato l’attività facendo fiere d’arte. Poi abbiamo aperto la galleria, ma il nostro inizio è stato da collezionisti e fin da subito ci siamo appassionati all’arte cinetica e programmata in tempi non sospetti, quando queste opere le potevi acquistare veramente con poche migliaia di euro».
Poi quella mostra del 2007, alla Schirn Kunsthalle di Francoforte: Op Art, dove una delle loro artiste preferite, Marina Apollonio, espone al fianco dei maggiori protagonisti dell’Optical Art. «Lì è nato tutto, poco dopo siamo andati da Marina con la quale è nata una bellissima amicizia e oggi ci riteniamo una grande famiglia – raccontano ancora emozionati -. In quel momento questi artisti non erano molto apprezzati e anche quando abbiamo cominciato a lavorarci insieme e a portarli nelle prime fiere, non li capiva quasi nessuno».
Da allora Marina Apollonio, Giovanni Pizzo, Lucia Di Luciano, Ennio Chiggio e Franco Grignani sono diventati i loro artisti a cui, oggi, si sono aggiunti Luigi Veronesi e Mario Ballocco, a cui saranno dedicate le prossime mostre personali in galleria. Tutti nomi che, passo dopo passo, hanno contribuito a togliere dal cono d’ombra in cui il tempo li aveva relegati. Portando avanti un lavoro meticoloso. «Oggi purtroppo la gente non guarda più alla storia dell’arte – mi spiega Bianca Maria Menichini parlandomi delle difficoltà che incontra il loro “metodo” di lavoro – ma solo a quella del mercato. Le scelte di chi compra sono spesso guidate dal prezzo, per cui un’opera costosa deve essere per forza più importante di una che magari costa ancora poco e che conoscono in pochi, ma ha un grande valore storico artistico». «In questi anni – prosegue – abbiamo cercato di scavare tra gli artisti minori oltre che tra quelli di maggior rilievo, ma abbiamo sempre voluto non fare troppe cose per seguirne una per volta, in modo da approfondire e creare cataloghi importanti. Un lavoro che richiede tempo, come ci vuole tempo per selezionare le opere giuste. E anche per questo, facciamo al massimo tre mostre all’anno».
«Quando iniziamo a lavorare con un artista – proseguono nello spiegarmi la loro impostazione – la prima cosa che facciamo è comprare le sue opere. Sì, perché all’inizio devi creare un rapporto di fiducia e questo è l’unico modo: le compro perché ci credo. Poi lavoriamo molto anche sul conto vendita. Anche con la Apollonio abbiamo fatto così e la cosa buffa è che all’inizio non voleva vendercele. Non perché non si fidasse, ma perché eravamo giovani e ci diceva: “ma proprio a me volete dare questi soldi? Siete consapevoli che in Italia non mi conosce ancora quasi nessuno?”»
In breve tempo sono poi nate importanti collaborazioni con istituzioni museali internazionali che, in questi anni, hanno riportato all’attenzione del grande pubblico l’arte cinetica e che i due galleristi aiutano per le mostre. «Collaborare con le istituzioni museali – mi spiega Christian Akrivos – ha permesso a questi artisti di tornare ad avere una visibilità internazionale che è la cosa più importante. Quando si deve rilanciare un artista, riuscire ad inserirlo nella collezione di un museo è la prima cosa da cercare di fare. Poi deve essere fatto conoscere ai vari curatori e se è apprezzato anche a livello di critica, iniziamo il lavoro di divulgazione».
«Negli anni – aggiunge Akrivos – sono nate poche collaborazioni con gallerie». «Creare collaborazioni non è facile, oggi sono sempre meno le gallerie che fanno davvero un lavoro di ricerca – continua Christian – in molti casi troviamo realtà che sono principalmente mercantili. Poi c’è il fatto che questi artisti hanno prodotto pochissimo e hanno oggi un magazzino molto limitato. Quindi non è facile dar vita a collaborazioni massicce».
E proprio la limitatezza delle opere disponibili porta ad una gestione molto oculata di tutto. «Un’artista come Marina Apollonio, per esempio, avrà realizzato tra gli anni ’60 e ’70, non più di 400 opere e, per questo, cerchiamo di metterle solo in belle collezioni – mi raccontano. Mettere le opere in collezioni private importanti e serie è fondamentale. Altrimenti, una volta che i lavori di questi artisti sono stati riposizionati e sei riuscito a costruire un mercato di un certo livello, le richieste iniziano a crescere e, se le soddisfi tutte, ti trovi poi una marea di opere riversata sul mercato».
All’inizio non è stato facile, ma trattare quest’arte prima di tanti altri ci ha aperto porte internazionali molto importanti. Oggi una buona parte del nostro fatturato è realizzato con l’estero: gli stati Europei, gli Stati Uniti ed il Sud America, sono i nostri mercati principali. Oltre all’Italia, dove i nostri collezionisti importanti sono ormai fidelizzati, e di questo siamo molto fieri».
Una fidelizzazione che si basa, ovviamente, su una fiducia costruita sulla serietà e su una attività continua di educazione. «Quando abbiamo cominciato – racconta Bianca – eravamo abbastanza sconcertati dal fatto che questo tipo d’arte fosse presa solo come un gioco. Un disastro, alle fiere ce ne dicevano di tutti i colori, da “mi fanno male gli occhi” a “gira la ruota”. Solo in pochi andavano oltre, comprendendo che dietro all’operato dei nostri artisti c’è matematica, programmazione, una cosa seria».
«I collezionisti sono arrivati col tempo – aggiunge Christian – perché di quelli veri, nel nostro segmento, ce ne sono pochi e molti di quelli che si incontrano sono quasi dei mercanti a loro volta, pronti a rivendere alla prima occasione. E, infatti, sono tanti quelli che hanno iniziato ad interessarsi a questa arte quando hanno visto che i prezzi salivano e intravedevano la possibilità di investimento». «Ma noi non ci siamo mai fatti ingolosire, abbiamo sempre continuato a custodire le opere dei nostri artisti, cercando di aspettare il collezionista giusto – continua – e non ti nascondo che, volendo, avremmo potuto fatturare molto di più. Oggi d’altronde è il momento dell’Arte Ottico-Cinetica. Ma gli artisti non devono diventare delle bolle speculative, il loro mercato va aiutato a prendere la strada giusta, ma deve crescere da solo in modo naturale e graduale. Il valore economico delle opere deve essere reale, è una questione di etica professionale».
«Oggi – mi spiegano Bianca e Christian – ci muoviamo in un mondo dell’arte dove non c’è più serietà, la storia dell’arte è in secondo piano. Crediamo che questo sia l’aspetto più difficile del nostro lavoro».
Luca Maggi