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DSC_0004Si ringrazia il Rettore della Chiesa di S. Andrea al Celio

Monsignor Marco Cocuzza

Oratori di S. Gregorio Magno al Celio

Gli Oratori fanno parte del complesso di S. Gregorio al Celio, che fu fondato nel VI sec. da Gregorio I Magno come monastero. Nel XVI secolo la Chiesa ed il monastero passarono ai Camaldolesi, che tuttora li possiedono.

La cappella centrale è l’Oratorio di S. Andrea, completamente restaurata nel ‘600, ed arricchita con preziosi affreschi. A sinistra S. Andrea Apostolo condotto al martirio di Guido Reni; a destra Flagellazione di S. Andrea del Domenichino; sull’altare Ss. Pietro e Paolo di Guido Reni ai lati della Madonna in Gloria con i Ss. Andrea Apostolo e Gregorio Magno di C. Roncalli.

La cappella sinistra è l’Oratorio di S. Barbara, detta anche Triclinium pauperum (mensa dei poveri) perché vi si trova una tavola in pietra, databile al III sec. d.C., sul quale sembra che S. Gregorio Magno servisse personalmente il pasto ai poveri.

A destra, infine, c’è il seicentesco Oratorio di Santa Silvia, madre di S. Gregorio, la più moderna delle tre cappelle. Nell’abside si trova un affresco di Guido Reni rappresentante un concerto di angeli musicanti.

DSC00517Luce e Ombra

L’arte come via di evoluzione interiore e proiezione del Divino

A cura di Antonietta Campilongo

Artisti: Stefano Bolcato, Marina Buening, Antonietta Campilongo, Adriana Cappelli, Antonella Catini, Massimo Franchi, Sergej Glinkov, Maddalena Marinelli, Marco Mezzacappa, Lucia Spaccarelli, Sandro Taliani, Stella Tasca

Sabato 22 aprile 2006 il complesso Monumentale San Gregorio al Celio di Roma ospita, negli spazi espositivi dell’Oratorio di Santa Silvia, la mostra “Ombra e luce”. Attraverso le opere di 12 artisti l’esposizione restituisce le due sfaccettature del reale. La luce, e l’ombra. Inseparabili. Una, conseguenza dell’altra.

Eppure, nel loro essere, entrambe rivelano le trasformazioni della materia. Di fatto cercano entrambe la stessa cosa, anche se con mezzi diversi. Non ritengo la luce e l’ombra due entità qualitativamente diverse, bensì la stessa entità in momenti diversi della sua evoluzione. Hanno stessa identità, in due punti diversi del sentiero conoscitivo al quale è destinato l’uomo.

La luce. Che sa illuminare e nascondere, bruciare e dissolvere. Eppure così candida. La luce illumina. Ma non è ovunque. La luce non ci circonda, ma lascia sempre che una parte sfugga alla sua bellezza e si nasconda. Nell’ombra. Nell’ombra della forma, del significato. Da coppia indivisibile, la luce accentua il suo essere, sfuggendo al rigore formare della geometria ed elevandosi ad entità astratta, pura, incontaminabile. Ma che contamina. Illumina. Il reale. Creando immagini sempre variabili.

L’ombra. Che racconta le conseguenze di un gesto, di un’azione, di un momento. L’ombra esiste per raccontarci la luce. Con la sua versione deformata del reale, definisce le linee di azione e di comunicazione della luce.

Stefano Bolcato ci racconta dell’ombra e della luce attraverso industrie e fabbriche, nelle quali ormai non vi è più nessuna presenza umana e dove la meccanica ha vinto. Marina Buening, nel suo mondo incantato di fiabe, allestisce teatrini. Per raccontarsi. Antonietta Campilongo ci racconta quello che vede e quello che sente con estrema semplicità, chiarezza. Adriana Cappelli fruga nelle intenzioni, propone l’esperienza. Spartisce luci e ombre. Mostra e nasconde. Su  un canovaccio informale si instaurano i codici di Antonella Catini, che ci regala momenti del suo universo emozionale. Massimo Franchi spoglia i suoi personaggi dalla loro redingote matematica. Ma l’identità resta smarrita. Sergej Glinkov dipinge quella facoltà dell’animo di serbare e custodire momenti del passato, della memoria. Ricordi e occasioni del tempo fermo. Maddalena Marinelli benda i volti dei suoi manichini. Marco Mezzacappa dipinge la paura, i volti pietrificati dal dolore. Lucia Spaccarelli traccia il confine fra incubo e sogno. Fantasia, follia. Sandro Taliani sfida i ruoli, la realtà. Stella Tasca infine ci da la possibilità di scegliere infinite direzioni… e così ci lascia persi in un circo di emozioni.

L’arte ama nutrirsi. Ama illuminare ed illuminarsi.articolo messaggero

DSC_0081 Stefano Bolcato. 

Industrie e fabbriche. Ormai non vi è più nessuna presenza umana: la meccanica ha vinto! Bolcato tratta il contemporaneo con un impulso di indifferenza, che è impossibilità del vivere, e ci restituisce una lettura spoglia, disincantata del reale. E in un eroico tentativo di vincere l’apatia, svegliandosi da questo stato di passiva accettazione del mondo, ci regala un momento di sogno. Sogno della memoria.  Desiderio. Un battito segretamente incancellabile. In una rappresentazione dove il soggetto rimane l’ambiente esterno e la periferia industriale scompare a favore di una natura magica e incantata, dove qualcosa sta per accadere, sta per consumarsi. Qualcosa di segreto. Ed il visitatore è invitato ad entrare senza far rumore.

Marina Buening.

Ci piace il mondo di Marina. Un mondo incantato nel quale l’artista gioca, sempre con gioia e spontaneità, pronta a scoprire, cercare, manipolare. Alla ricerca di nuovi materiali e nuove direzioni. Alla ricerca del significato di un gesto, delle conseguenze di un colore, delle qualità della forma. La Buening ricerca, racconta, testimonia il contemporaneo. Questa esigenza tipica dei nostri giorni di narrare una storia, di raccontarsi, per assicurarsi un posto fra i sedili di questo luogo che è il mondo, viene tradotta in Marina in discorsi di sogni. Marina traccia un percorso. Illumina un sentiero. E lo colora, lo percorre. Con le sue figure minimali, leggere, presenti ma silenziose. Eleganti.

Antonietta Campilongo. 

Pigmenti di colore su tela… Ancora… sfacciati! Come i titoli, del resto, delle sue opere… alquanto espliciti! Bisogno di verità, dunque? Abbattiamo le maschere, i geroglifici, il subliminale… Lei ci racconta quello che vede e quello che sente con estrema semplicità, chiarezza. E così naturalmente si da a noi, al suo pubblico che la ama per questa sua dote di mancare di frivoli, di arrivare dritta al punto. Un colpo di fucile. La sua opera è lì. È nuda. Non ha bisogno di molto per essere giustificata. La sua opera è lei. Una donna che ama, che ascolta gli odori, i rumori, le urla, i bisogni dei suoi simili annegati nella realtà, e gliela restituisce prosciugata e vera.

Adriana Cappelli.

L’opera è in azione. Il materiale flessibile e mutevole sembra cedere da un momento all’altro. Ma è solo un illusione. È un inganno o un dubbio? La linea inizia il suo viaggio, cerca di nascosto… si aggroviglia, barcolla. Si ritrae… ma non si ferma… insiste! Segue il suo percorso testarda e fiera, dinamica e ferma, femminile ma dura. Le sue linee irrequiete stringono l’anima ma poi la liberano alleggerita. L’improbabile equilibrio è capzioso, Adriana fruga nelle intenzioni, propone l’esperienza. Spartisce luci e ombre. Mostra e nasconde. Si insidia. Si mostra per quello che è. Nessuna certezza.

Antonella Catini.

Su  un canovaccio informale si instaurano i codici di Antonella. I segni restano invischiati nella struttura scheletrica materia-colore… ma sono sempre pronti al cambiamento… Il colore è la grande madre. È  in festa. È pronto a divertire, sostenere, prepara a future estensioni e perdona ogni defaiance!  I segni sono tasti che muovono le corde del sentire e scuotono l’aria di fuochi, tensioni, paure segrete o dolci ricordi. La superficie vibra.  Brulicante e graffiata. Antonella  ci regala momenti del suo universo emozionale.

Massimo Franchi.

Cosa accade? Siamo liberi. O meglio abitiamo in un’epoca in cui possiamo esserlo. Eppure… qualcosa si inceppa… e questa libertà ci soffoca. Perdiamo la rotta. L’essere umano ha bisogno di un quadrato che gli mantenga la testa! Libertà di scelta, libertà di espressione… e allora? Non possiamo più scegliere. Abbiamo paura di questa nuova responsabilità individuale. E ci preserviamo per osservare tutte le porte aperte. E poi… restiamo sempre nell’atrio! Ci siamo imprigionati ancora! Sono gli occhi di questi individui, che consumano soli le strade di questo mondo, che ci mostra Franchi. Occhi lontani, sguardi cancellati. L’ identità è neutralizzata.  È una camicia che ci possiede?  Franchi spoglia i suoi umani dalla loro redingote matematica. Ma l’identità resta smarrita e persa… forse è troppo tardi? Forse compie questa scissione per mostrarci ancora più nudi, ancora più soli. E in questo esistere così tranquillo, in cui tutto è così normale, l’essere si è anestetizzato. E il suo è un urlo immobile.

Sergej Glinkov. 

Tracce. Resti. Frammenti. Sergej dipinge quella facoltà dell’animo di serbare e custodire momenti del passato. Momenti della memoria. Ricordi e occasioni.

La città dell’umano si è svuotata… è stato un lungo viaggio, ed ora i resti di questo stanco organismo riposano nella quiete e nel silenzio… e a testimonianza della sua precedente vita resta solamente, fortuitamente un rudere desolato. Un palcoscenico piatto. I giochi sono terminati. Gli archi e le colonne scandiscono il ritmo del pensiero, ricercano la profondità della rivelazione, i meccanismi della suggestione.  Invitano al  raccoglimento e alla meditazione. La pittura chiede il pensiero. Ci accoglie il tempo fermo.

Maddalena Marinelli.

L’onestà nell’osservare, che è anche sincerità d’intenti è, forse bizzarramente, la logica delle maschere di Maddalena. Un volto beffardo, un ghigno, viene modellato da chi sa dei confini di quell’ ironico riso e sa della sua vacuità. Volti di luna. Sfogliati da ombre e da luci. Strati dell’esperienza che cadono come vestiti consumati, indicano la mutevolezza, il cambiamento. Anelli di crescita nei tronchi dell’esistenza… segnati da un graffio. Volti lacerati che chiedono aiuto. Maddalena benda, e getta le chiavi dei lucchetti che imprigionano i volti dei suoi manichini. impossibilità di linguaggio, impossibilità di comunicazione. Ma dopo tutto questo odio e graffiare lei ci lega tutti con una catenella. Ha capito che l’unica forza negli esseri umani è la solidarietà, e ci mostra l’avvizzimento, l’abbrutimento delle bugie, dei tradimenti, degli inganni. Maddalena lo sa. Ed il suo è un cuore giovane, che lotta e combatte per cambiare il mondo.

Marco Mezzacappa.

È una corrosione interiore che porta alla superficie il male endemico che le divora. Carni grasse e flaccide. Venate da un livido reticolato. Carni avvizzite, consumate. Hanno mangiato, hanno preso… Ma non è bastato. Ed ora che non hanno più niente da chiedere vegetano. Corpi in torsione, costretti, premono. Larve svuotate di amore e di sogni. Il futuro è nero come il varco che si apre alle loro spalle, l’orizzonte scopre una superficie bidimensionale. Dipinge la paura. I volti pietrificati dal dolore, tumefatti dal gelo. Le mani si fanno artigli collosi, cercano, si aggrappano forse ad un ultima illusione, ma per quanto stringano la presa non trovano un appiglio, un riparo… restano sole e abbandonate, piene solo di un aurea gelida, polare. Ora vegetano in un torbido liquido, hanno abbandonato qualunque volontà di azione, di rivolta, di riscatto, di rinnovamento. Stanno annegando in quest’ atmosfera liquida che le conserva.

Lucia Spaccarelli.

È la forza di un vento tormentato ad agitare le sue figure longilinee. Mani nervose e folli voli. Passione. Amore. Grinta. Violenza. L’artista traccia con il suo pannello il confine fra un incubo e un sogno. Fantasia. Follia. Ma questa pazzia che ci stupisce, e per un attimo ci fa strabuzzare gli occhi è molto più vicina a noi di quello che possiamo immaginare! Questa distorsione centripeta che si ripiega verso l’alto in uno slancio gotico ci prende e ci solleva sui nervi di quelle mani in tensione. Ed ora riempiamo i polmoni d’aria e… Un balzo! Eccoci! Saltiamo anche noi assieme a quei bimbi folli… ed è sottile la linea di demarcazione fra angeli putti e demoni. Ma non importa!! Ci lasciamo trascinare in una favolosa, intensa, incantevole Isola che non c’è!

Sandro Taliani.

Si diverte. Ci diverte. Emerge l’animo di un artista pulito, che ama sfidare i ruoli, la realtà… Noi! Ma sempre bonariamente, e questa bontà d’animo ci fa entrare nella sua rappresentazione, nella sua piéce teatrale con allegria, senza paura, con curiosità e coraggio. Ci prende per mano e ci racconta di stati d’animo di angoscia, dolore, ansia, smarrimento… e ancora più soli e divisi in folle umane… Persi. Soli. Solo individui. Meccanismi sbagliati. Strade arzigogolate. C’è un senso di accettazione profonda dell’esistenza, ma non solo, anche di Fiducia e Amore per essa e in essa.

Stella Tasca.

Stile ricercato. Complicato. Sembra sempre non contenta… cerca, ricerca e cerca ancora… senza stancarsi. Il suo mondo interiore ricco e complesso, pieno di stili, di riferimenti. Concettuale, surrealista, artista di strada, pop. Ci da la possibilità di scegliere infinite direzioni… e così ci lascia persi… nel dubbio… indecisi e catturati dalla sua trappola. È un circo di emozioni. Ed una sola regola è valida: la pluralità! E sono fiori, funghi, pistole, scritte e figurini a viaggiare nella sua frequenza. Un vortice di passioni. Sembra voglia ammonirci: “Non cercate di spiegare… perché quaggiù è un caos. Sentite. Ascoltate. Lasciatevi trasportare dall’arte. Dalle Emozioni”.

(Luca Curci)

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