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Without
6 Ottobre 2007 @ 18:00 - 21 Ottobre 2007 @ 20:00
Il progetto, molto ampio, manifesta, già nelle prime intenzioni degli organizzatori, il desiderio di superare ogni limite espressivo e geografico per quanto riguarda le scelte stilistiche e la provenienza degli artisti selezionati.
Le opere esposte in Without, saranno tutte rigorosamente senza titolo; una teoria di “moduli” dal forte impatto cromatico e formale offerti allo sguardo dei fruitori che, svincolati dalla lettura suggerita dai nomi imposti, potranno liberamente interpretare e costruire la propria “visione” rispondendo esclusivamente a stimoli sensoriali ed emozionali.
La scelta dell’assenza
(Fancesco Giulio Farachi)
Curatori di mostre e critici d’arte hanno senz’altro una mente perversa. Al di là del convinto ed istintivo consenso che tale affermazione trova sia fra gli artisti sia nel più diffuso pubblico, l’occasione attuale ne costituisce una buona dimostrazione. Solo con una sottile perfidia si può infatti concepire e rendere concreta l’idea di mettere in mostra una contraddizione pura. O, per dirla altrimenti, di sfidare tutti – artisti, spettatori, se stessi – ad un gioco (o seria faccenda?) in cui si rende l’irrilevanza della designazione rilevante al punto da designare se stessa in un’esposizione. “Senza titolo” – per una mostra, per le opere che la compongono – è un’assenza dichiaratamente falsa e fuorviante. Intanto perché “senza titolo”, titolo lo è indubitabilmente – ambiguo e bifido, ma sempre titolo. E poi, soprattutto perché, invece di togliere qualcosa, questa negazione aggiunge, invece di limitare, espande, carica ed investe i suoi oggetti di ogni possibilità interpretativa, moltiplica gli approcci.
Allora, l’audacia di questa proposizione sta nell’invito a cogliere la bellezza e la ricchezza di una libertà che finalmente lasci spaziare fin dove mente e sentimento riescono ad arrivare. Trovarsi di fronte ad un’opera d’arte e non subire i vincoli della didascalia, dell’orientamento imposto, in un certo qual modo rende tangibile il segreto dell’arte, l’enigma di ogni ispirazione, ed anche, specialmente, il mistero del sentimento che suscita nell’osservarla, il riflesso che quell’opera proietta sulla vita. Si tratta in fin dei conti, di godere di una sensazione pura, per certi versi primordiale. Una materia, una figura, un segno, una parola possono giungere all’osservazione solo per ciò che sono, indicare soltanto quella materia, quella figura, quel segno o parola. Perché questo è ciò che essi dicono all’immediato. L’assenza del titolo fortifica la presenza della cosa.
Eppure, con la stessa intensità, vale anche l’esatto contrario. L’opera in sé e per sé veste il fascino dell’interpretazione, sollecita la ricerca dei riferimenti, stimola quell’esercizio sovrano della mente che è la lettura allegorica ed analogica. Resta così aperto il compito di definire la materia, la figura, il segno o la parola, di osservare oltre alla faccia che presentano la rivelazione della loro faccia nascosta, ed immaginare intorno ad essi contesti e spazi e concetti, significati e poi prospettive.
Non si può dunque credere che una mostra senza titolo sia solo una vetrina per opere senza titolo. È un criterio metodologico, è un voler guardare oltre gli schemi già acquisiti, significa gettare le competenze tecniche e creative nell’agone dell’indefinitezza per vedere quale definizione esse stesse si danno e producono, e vedere poi se da qualche parte e con quale vigore stia germogliando il seme del futuro. Insomma quella che superficialmente potrebbe apparire come una trovata sbrigativa, si rivela essere una coscienziosa impostazione scientifica. Non solo, è un accesso per mettere a disposizione un territorio per l’arte, un luogo assente, un luogo “senza”, un luogo che manca di muri e confini, ma che proprio per questo solidamente rende concreta l’esperienza di conoscenza e ricerca, di nuove sperimentazioni e di nuova attenzione. Prima che i fatali “ismi”, quelli già coniati e quelli prossimi venturi, cristallizzino quell’esperienza come fatto già acquisito e scontato.
Tutto sommato, è questo un contegno ed un modo possibile per dimostrare rispetto verso l’opera d’arte, verso il segreto della sua presenza, e di passare da un linguaggio all’altro, di trasferire i simboli in esperienze concrete, di stabilire una rete di corrispondenze e consapevolezze, di cucire e ricucire il tessuto che aiuti a capire la vita.
Without ovvero “ogni riferimento è puramente casuale”
(Ida Mitrano)
Quanto il titolo sia importante e quanto lo sia ai fini della fruizione dell’opera d’arte, è una questione sulla quale riflettere. Credo tuttavia, che in questo specifico contesto espositivo la vera questione sia un’altra. L’assenza del titolo – e dunque di un riferimento verbale ad un determinato contenuto di cui l’opera è in qualche modo portatrice – è particolarmente significativa se, come in questo caso, non è espressione della volontà del singolo artista, ma si connota invece, al di là delle differenze tra i linguaggi, come un comun denominatore, capace di spostare l’attenzione del fruitore verso altro. E, in quanto tale, simile alla punta di un iceberg, diviene l’elemento evidente di una problematica che è ben più complessa: quella del senso dell’opera d’arte nella società odierna. Una questione che richiede oggi risposte chiare, perfino radicali, certamente non “accomodanti”. L’attuale tendenza alla spettacolarizzazione dell’arte ha ridotto l’opera ad “oggetto” da consumare immediatamente, ad un evento che deve produrre audience o corrispondere a determinate esigenze di mercato. Sembrerebbero non esserci più criteri condivisi di valore, ma questo equivarrebbe a decretare la fine stessa di ogni possibilità di giudizio critico e, prima ancora, la perdita del senso ultimo del fare arte. Su questo è necessario riflettere per rifondare l’arte su nuove ragioni.
Pur non entrando nel merito di tali ragioni, ritengo che l’arte debba essere una sorta di varco, una via d’accesso verso ciò che è a noi sconosciuto. Io e l’altro. Un incontro, l’unico, capace di consentire al pensiero di evolversi oltre il già pensato. Come questo possa avvenire e come possa trovare forma nell’opera, spetta all’artista rispondere con la propria ricerca. Se poi l’opera contenga realmente in sé le tracce di quell’incontro, è tutto da verificare secondo parametri che devono necessariamente tener conto delle profonde trasformazioni della società contemporanea, nonché delle diverse modalità di trasmissione del sapere e di quanto esse incidano sulla formazione del pensiero.
Without, un urlo “muto”, ma non per questo meno potente. L’urlo di un’arte che afferma il proprio diritto ad essere ed a confrontarsi provocatoriamente senza titolo e perfino senza le consuete indicazioni che sempre accompagnano l’opera, ad eccezione del nome dell’artista. Non rimandare ad altro da sé, ma lasciare che le forme, i colori, i materiali, i segni si differenzino o si richiamino l’un l’altro per imporre l’opera come presenza, invece, affatto muta.
Senza titolo
(Pier Maurizio Greco)
Ho ancora le mani sporche di colore, scuro sotto le unghie.
Cercavo il blu più profondo, lo cercavo tra un’onda e l’altra, e insieme un verde intenso di fogliame, un giallo odoroso di costiera, così distesi in pennellate ampie, piegate in orizzonti multipli.
In quei segni vicini, in quei toni accostati, ho aperto finestre, per lasciare allo sguardo lo spessore dell’impasto e la sua forma, per lasciarti percorrere quella distanza.
E, nel perimetro di quello spazio imposto, il viaggio è davvero senza limiti.
In lungo e in largo si susseguono immagini, luoghi, corpi; la memoria aggiunge somiglianze, ritaglia e suggerisce contorni.
La tua visione prende vita, scorre tra i reticoli e le curve, nei sintagmi estratti e ricomposti si snoda un nuovo itinerario.
Ti osservo, con la testa obliqua, mentre cerchi la tua storia; stabilisci lunghezze, raccogli frasi e suoni in cerca di definizione.
Sei artefice massimo, accarezzi il potere di possedere, di fermarti in questo territorio, di spalancare gli occhi e riconoscerne i confini.
Sei dominus, signore e padrone di queste terre, puoi attraversarle con i tuoi destrieri.
Ti è concesso infine il potere di apporre un nome.
Ti osservo e attendo, con le mani sporche di colore, perché di fronte hai un “luogo” senza titolo.
Patrocinata dal Comune di Capranica, Regione Lazio. Provincia di Viterbo
A cura di Antonietta Campilongo
Organizzazzione
N e w o r l d ART
Presentazione in catalogo
Francesco Giulio Farachi
Pier Maurizio Greco
Ida Mitrano
Artisti:
Achir, Manuela Alampi,Marco Angelini, Roberto Angiolillo, Artisti Innocenti,Maurizio Baccanti,Marina Baciocchi, Rosella Barretta, Marco Besana, Elena Bonuglia,Ilaria Buselli,Maria Cecilia Camozzi, Antonietta Campilongo, Matteo Carbone, Joao Carità,Sabrina Carletti, Alessio Casale, Antonella Catini, Ciro Cianni, Luigi Cipollone, Benito Coltrinari, Enzo Correnti, Patrizia Costa, Anna Costantini, Paola de Santis, Valentina Fabi, Rosanna Fedele,Francesco Gentile, Paola Giacon, Pier Maurizio Greco, Michael Harvey, Loris Manasia, Flaminia Mantegazza, Susy Manzo, Maddalena Marinelli, Barbara Medori, Serena Meggiorini, Francesco Mestria, Juan José Molina Gallardo, Kim Molinero, Consuelo Mura, Claudio Orlandi, Orodè, Giuliano Pastori, Silvia Patrono, Ilaria Pergolesi, Nadia Perrotta, Enrico Pietrangeli, Simonetta Pizzarotti, Fiorella Saura, Gabriele Simonetti, Luca Soncini, Vincenza Spiridione, Andrea Sterpa, Massimo Trulli, Antonio Verdone, Zoro.
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